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SPACE COWBOYS
(SPACE COWBOYS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 settembre 2000
 
di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Tommy Lee Jones, Donald Sutherland, James Garner (Stati Uniti, 2000)
 
Clint Eastwood, per molti l'ultimo dei grandi maestri ancora in circolazione nel cinema americano, continua la rivisitazione ai generi che l'hanno fatto grande: dopo il western ed il poliziesco, il melodramma ed il thriller, il film del Sud o la prison-story, ecco la cosmonautica gerontologica.

Perché la storia - comunque molto apprezzata, non fosse che per questa riscoperta di Hollywood della terza età pur nella trepidazione che gli abituali teenagers stacchino egualmente il biglietto- è quella che è: il vecchio cowboy al quale si è costretti ricorrere. Anche se sembra al limite di farcela ad inforcare la staffa. Ma, western o Nasa, per ritrovare il filo di un discorso basta il lirismo dello splendido prologo in bianco e nero: un condensato folgorante di quell'aderenza fisica che rese celebre un altro western aviatorio, LA STOFFA DEGLI EROI di Philip Kaufman, con Sam Shepard nel 1983. In quanto all'aria che tira, non ci vuole molto a capirlo: è quella inimitabile dell'autore de Gli Spietati. Un po' di malinconia, un'aria di jazz, un modo di strizzare le proprie rughe, di scavare nei segni lasciati dal tempo. L'autodistruzione, al limite del compiacimento: brillantemente contraddetta dai dialoghi che sprizzano energia e buon umore. Due terzi del film. Prima che si vada in orbita, per una faccenda satellitare russo-americana pure un po' lunghetta; aggravata dal sospetto di un certo compiacimento alla arrivano i nostri. Che poco si concilia con il disincanto leggendario dell'antieroe mitico.

Resta allora l'incanto giubilatorio di in un film popolare nel buon senso della parola, il piacere di stare assieme del quartetto Eastwood - Lee Jones - Sutherland - Gardner, la scoperta di quell'inedita dimensione geriatrica. E l'abituale intelligenza di spogliare l'archetipo melodrammatico da ogni convenzione, da ogni forzatura di tono.

Che Clint sia rimasto un poeta, basta l'incredibile carrellata finale verso la luna a provarlo: rincorsa infinita al sogno dell'uomo, rappresentazione concreta della sua insopprimibile immaginazione. Fino a quel primissimo piano, struggente, visionario: l'impresa impossibile di scrutare l'interno di un casco d'astronauta, adagiato a contemplare l'eternità lunare.


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